Thursday 26 June 2014

Autoritratto della superficialitá






Fino all’arrivo della fotografia la rappresentazione era incentrata sulla drammaticitá di un attimo. Ma con la prospettiva non potevamo rappresentare il movimento, il dinamismo: la pittura era basata su un rapporto realistico con l’oggetto. L’arrivo della fotografia rappresenta un problema, una crisi proprio perché adesso una macchina puó rappresentare (a volte anche meglio) la realtá. La ricerca pittorica si sposta verso la ricerca di nuovi strumenti per rappresentare la realtá in cui viviamo: una realtá dinamica. Nell’autoritratto cerco di fare una possibile ricostruzione cronologica degli strumenti usati da alcuni grandi maestri della Modernitá nelle loro ricerche di una nuova estetica, proiettando una mia immagine in una delle realtá da essi rappresentata grazie all’aiuto dell’informatica, lo strumento di cui ci serviamo noi oggi per elaborare le informazioni che captiamo dalla realtá. Nel primo riquadro mi immagino a pattinare nella fabrica de horta de ebro di Picasso: l’idea di movimento è resa da una rappresentazione frammentaria che demolisce ogni possibile prospettiva; non abbiamo piú un sistema unitario e controllato ma ogni cosa va per conto suo, ogni frammento vive nella sua autonomia secondo una logica che non è piú chiusa ma è aperta, dinamica. Nel secondo riquadro mi immagino a spasso con il bassotto ‘vibrante’ di Giacomo Balla: il suo spirito futurista e un interesse per la forma pura e soprattutto per il colore sfociarono in ricerche di rigorosa astrazione e concettualizzazione, che lo portarono a compiere studi sulla traiettoria. Fino ad arrivare, nel terzo quadrante, alla spazialitá fluida, metaforica, simbolica e interconnessa della composition n.8 di Kandinsky. L’insieme emana energia e sembra possa continuamente muoversi; ha una struttura fotografata in un attimo, ma il suo valore è la possibilitá di divenire, di essere libero e aperto. Infine, nell’ultimo quadrante, è presenta una GIF (Graphic Interchange Format), un formato grafico molto diffuso al giorno d’oggi che siamo nell’era dell’elettronica: è una semplice compressione in un’unica stringa di piú informazioni simili, che vengono memorizzate come una sequenza. Una sequenza di immagini cosi relazionate rende abbastanza bene l’idea di movimento, di dinamismo ma perde di espressivitá, di forza figurativa: siamo forse di fronte a una nuova crisi? I programmi informatici ci stanno forse portando verso un appiattimento del lavoro grafico prodotto? Molti critici sostengono che uno dei caratteri fondamentali della condizione postmoderna è la riduzione di tutto alla dimensione letterale di superficialità. Risolta una crisi ecco quindi che ne abbiamo giá trovata una nuova: la mancanza di profondità, nella quale possiamo forse individuare la significativa differenza tra modernismo e postmodernismo.

(new) tool

 un valido esempio di come 'entrare dentro' un nuovo strumento e fare un'architettura che sia una sua reificazione, che sia fatta a sua immagine e somiglianza

ospedale in Mauritania (link all'articolo)

Arch. Fabrizio Carola (link al video con l'intervista)

Bisognerá saldare tutti i debiti con la Terra



articolo del giornalista inglese Fred Pearce comparso sulla rivista Internazionale (n 1010)

Gli ecologisti sostengono che per risolvere la crisi finanziaria sia necessario prima affrontare i problemi dell’ambiente. Un’idea che sta convincendo molti economisti

È una delle domande piú pressanti del nostro tempo: qual è il nesso tra la crisi finanziaria e quella ambientale? Sono la stessa cosa e vanno affrontate insieme, oppure bisogna concentrarsi sull’ambiente prima di potersi occupare dell’economia? Nel libro Environmental Debt (Palgrave Macmillan 2013) l’attivista di Greenpeace Amy Larkin sostiene in modo convincente che è meglio occuparsi prima dell’ambiente. Affrontare condizioni climatiche estreme, inquinamento e riduzione delle risorse, scrive Larkin, ha un costo enorme, che si sta ripercuotendo sul capitalismo. La nostra indifferenza verso le “esternalitá” della produzione di ricchezza ha generato un debito ambientale che sta caricando su ognuno di noi un debito finanziario insostenibile. Gli ambientalisti come Larkin, peró, non sono gli unici a sottolineare questo nesso. Anche a Wall Street e nella City di Londra si fanno discorsi simili.
Via via che le risorse naturali diventano piú scarse e piú costose, la loro crisi incombente si manifesta nel crollo dei mercati. È la tesi di Paul Donovan e Julie Hudson, economisti della banca svizzera Ubs. Il loro libro From red to green? How the financial credit crunch could bankrupt the environment (Routledge 2011) sostiene che “esiste una seconda crisi del credito” di tipo ambientale. Saccheggiando le risorse globali e indebolendo gli ecosistemi, scrivono gli autori, stiamo riducendo il credito ambientale proprio come le spese eccessive con la carta di credito riducono il credito finanziario. Le due crisi hanno “un rapporto simbiotico”, affermano. “La festa deve finire”.
Le sinergie tra crisi finanziaria e crisi ambientale saranno anche complesse, ma secondo molti economisti alla base di quella finanziaria ci sono i consumi sfrenati, agevolati dal credito facile. E gli ambientalisti ritengono che l’aumento del debito ambientale sia causato dallo stesso consumismo smodato. Ma questo debito ha avuto un ruolo diretto nella crisi finanziaria? Questo nesso è piú difficile da dimostrare. Il rincaro delle risorse che diventano piú rare – metalli, prodotti agricoli, legname e pesce – è stato un tema costante durante la fase precedente alla crisi finanziaria.
Oggi sono sempre piú numerosi gli uomini e le donne d’affari convinti che per rilanciare la crescita sia necessario affrontare le questioni ambientali e quelle legate alle risorse. Il consulente aziendale Eric Lowitt presenta alcuni di loro nel libro The collaboration economy (Jossey-Bass 2013), un lucido manuale sulle idee piú illuminate del mondo degli affari. Tra i nomi piú famosi c’è quello di Paul Polman, direttore generale della Unilever, una multinazionale che forse ha piú prodotti di chiunque altro sugli scaffali dei supermercati. Lowitt afferma che secondo Polman bisogna riformare radicalmente il modo di condurre gli affari: “le aziende come la nostra non hanno piú scelta”.

Sostenibile è possibile
Ovviamente alcune aziende faranno fortuna sfruttando – invece che risolvendo – la crisi ambientale. Per ogni startup che intende guadagnare con l’energia rinnovabile c’è uno speculatore pronto a ricordare ai potenziali investitori che la crescita della popolazione mondiale causerá l’inevitabile aumento dei prezzi. Dove i verdi vedono la catastrofe, qualcuno vede solo il profitto. Siamo condannati?
Il Worldwatch Institute, un istituto di ricerca ambientale molto stimato, è un pó piú ottimista. In State of the World 2013: is sustainability still possible?, i suoi esperti affermano che potremmo produrre energia rinnovabile, sfamare nove miliardi di persone, risanare il paesaggio, stabilizzare il clima e gestire l’acqua controllando le multinazionali e migliorando la giustizia sociale: “non esistono impedimenti fisici né tecnici”. Basterebbe volerlo.
I legami tra le due crisi, evidenziati in molti di questi libri, sono forti. Per me, peró, trascurano tutti una differenza sostanziale. Il capitalismo è solo una macchina e se qualcosa va storto si puó stornare il debito finanziario, in modo diretto tramite il fallimento e in modo indiretto tramite l’inflazione. Ci si dá una bella scrollata e si riparte. L’ambiente, invece, è il pianeta in cui viviamo. Non possiamo dichiararci insolventi davanti al cambiamento climatico, stornare gli ecosistemi che scompaiono e ridurre l’erosione del suolo attraverso l’inflazione. Non c’è modo di sbarazzarsi del debito ambientale.

Thursday 27 March 2014

perla





‘O lo fai stare zitto, o lo spegni!’

Harrison Ford interpretando Han Solo (riferendosi al droide C-3PO) in Star Wars: Episode V – The Empire Strikes Back, 1980

comunque sia, l’uomo ha ancora il predominio sulle macchine, per fortuna...